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Analisi mercati - 8 ottobre 2019

IN ESTREMA SINTESI...

La pubblicazione di alcuni dati economici più deboli delle attese e la carenza di progressi in ambito geopolitico hanno riacutizzato, di recente, le preoccupazioni sulla tenuta del ciclo economico globale e hanno fatto risalire la volatilità sui mercati finanziari. I listini azionari hanno corretto e gli spread di credito societario si sono ampliati, mentre più contenuta è stata la reazione dei bond emergenti; l’incremento dell’avversione al rischio ha favorito, invece, i beni rifugio, in particolare le obbligazioni governative, i cui rendimenti hanno ripreso a scendere. La presenza del supporto monetario continua a controbilanciare i segnali negativi rivenienti dall’economia reale e dalle tensioni internazionali, ma appare impellente affiancare tali misure con interventi di natura fiscale.


IL QUADRO MACROECONOMICO: LA DEBOLEZZA DEL MANIFATTURIERO SI ESTENDE AGLI ALTRI SETTORI?

Da diversi mesi, ormai, è evidente come il settore manifatturiero, in tutto il mondo, sia stato il più penalizzato dalle conseguenze del conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina: rallentamento degli scambi internazionali, calo di fiducia delle imprese e posticipo degli investimenti. Circa una settimana fa il WTO ha rivisto nuovamente al ribasso le proprie stime sulla crescita del commercio mondiale. È altrettanto chiaro come ciò abbia inciso maggiormente sulle economie più sbilanciate, appunto, verso il settore manifatturiero e più orientate all’export: il caso emblematico è la Germania, che, per quanto non direttamente coinvolta nello scontro in atto tra le due superpotenze mondiali, ha subIto un contraccolpo importante ed è a rischio di recessione tecnica, complici anche le difficoltà del settore automobilistico. Finora, tuttavia, gli altri comparti economici, in particolare quelli legati ai servizi - che costituiscono la quota preponderante nella maggior parte delle economie avanzate - si sono dimostrati resilienti, beneficiando soprattutto della tenuta dei consumi privati. La dicotomia tra manifattura/ imprese, da un lato, e servizi/consumi, dall’altro, è ben testimoniata dagli indicatori di sentiment degli operatori economici: i PMI manifatturieri sono già scesi in territorio di contrazione in diversi Paesi, mentre i PMI non manifatturieri e gli indici di fiducia dei consumatori si sono mantenuti su livelli più “salutari”.

Il timore, tuttavia, è che la debolezza possa estendersi all’intero sistema economico, nel caso in cui il protrarsi del clima di incertezza e di sfiducia delle imprese si traduca in un rallentamento del mercato del lavoro e arrivi ad intaccare i consumi. Proprio a tal proposito sono giunti, negli ultimi giorni, segnali più preoccupanti: non solo la situazione nel settore manifatturiero non sta mostrando miglioramenti (significativo l’ulteriore calo dell’indice ISM Manifatturiero USA, inferiore a 50 per il secondo mese consecutivo), ma anche negli altri settori sembra delinearsi sempre più chiaramente un trend al ribasso.

Se non possiamo negare che una decelerazione sia effettivamente in atto nell’economia globale, appare però prematuro pensare ad un’imminente recessione; consumi e occupazione sono ancora su buoni livelli, come confermato dall’ultimo rapporto sull’occupazione USA (tasso di disoccupazione al minimo storico al 3,5%), e le condizioni finanziarie sono ampiamente accomodanti. Ad esempio, il calo dei tassi degli ultimi mesi sta favorendo un buon recupero del settore immobiliare statunitense.


IL QUADRO (GEO)POLITICO: SCARSI I PROGRESSI TRA USA E CINA, CRESCONO LE TENSIONI SU ALTRI FRONTI

Le notizie di natura politica e geopolitica più recenti hanno contribuito a creare incertezza. Per quanto concerne il conflitto tra USA e Cina, i negoziati che dovrebbero riprendere nelle prossime settimane si preannunciano piuttosto complicati: gli interessi coinvolti, come è noto, sono diversi e complessi, spaziando dal commercio, alle valute, alla tecnologia fino addirittura alla finanza (su quest’ultimo aspetto sono circolati solamente dei rumours, per ora smentiti, ma preoccupanti dovessero mai assumere concretezza). Negli ultimi giorni si è poi discusso molto anche della disputa commerciale tra USA e UE, dopo che il WTO ha riconosciuto come illeciti gli aiuti di Stato concessi ad Airbus e ha autorizzato così l’introduzione di dazi sui prodotti europei per circa $7,5 miliardi, che dovrebbero entrare in vigore il 18 ottobre e colpire anche alcuni beni italiani. Ciò graverebbe ulteriormente sul già penalizzato settore manifatturiero europeo, ma avrebbe ripercussioni negative per entrambi i fronti, viste le forti interrelazioni presenti tra le rispettive catene produttive (https://www.coldiretti.it/economia/dazi-usa-colpito-12-miliardo-export-alimentare).

Inoltre, potrebbe rappresentare il primo passo verso uno scontro più vasto, dato che la stessa UE potrebbe adottare misure ritorsive nei prossimi mesi, quando il WTO si pronuncerà su una disputa a parti invertite sugli aiuti a Boeing. È possibile, dunque, che si tenti una soluzione negoziale. A tutto ciò si sommano altri temi, tra cui la Brexit, che a distanza di poche settimane dalla data prevista (31 ottobre) non ha trovato ancora una soluzione, e le questioni di politica interna statunitense, con l’avvio della procedura di impeachment per Trump da parte dei Democratici. Per ora questi due elementi contribuiscono sì a creare incertezza, ma non appaiono determinanti: sul primo, in mancanza di un accordo, l’esito più probabile è un ulteriore rinvio e non un’uscita senza accordo (c.d. “no deal”); circa il secondo, nella storia recente vi sono soltanto due precedenti, nessuno dei quali tecnicamente andato a buon fine, e l’iter è in ogni caso molto lungo.


LE POLITICHE MONETARIE (E FISCALI?) CONTROBILANCIANO LE NOTIZIE NEGATIVE

In questo contesto, l’allentamento delle politiche monetarie, già in parte attuato, ma atteso dai mercati anche per il futuro, continua a giocare un ruolo fondamentale nel controbilanciare l’incertezza geopolitica e i timori di forte rallentamento economico. A settembre la Fed ha tagliato di un altro quarto di punto i tassi d’interesse di riferimento (oggi nel range di 1.75%-2.00%) e, dopo i dati pubblicati negli ultimi giorni, le attese implicite di mercato per un nuovo taglio già il prossimo 30 ottobre o, al massimo, a dicembre sono salite sensibilmente. La BCE ha introdotto un ampio pacchetto di misure di stimolo: abbassamento del tasso sui depositi di 10 punti base (da -0,40% a -0,50%), doppio livello di remunerazione delle riserve presso la BCE per attenuare l’impatto dei tassi negativi, riavvio del QE, condizioni più favorevoli per il TLTRO III e una rivisitazione, in senso potenzialmente più favorevole, della c.d. forward guidance: quest’ultima non prevede più, infatti, una data esplicita entro cui le misure di stimolo dovrebbero rimanere in essere, ma vincola il tutto al raggiungimento - conclamato - dell’obiettivo di inflazione. Nella sua penultima conferenza stampa prima dell’arrivo di Christine Lagarde, Draghi ha, inoltre, posto l’accento sulla necessità di utilizzare maggiormente la leva fiscale da parte dei Governi, lanciando un messaggio esplicito ai Paesi con più ampio spazio fiscale. Il caso tedesco è il più evidente in tal senso, anche perché l’attuale fase congiunturale sfavorevole lo giustificherebbe; qui le resistenze a rimettere in discussione la tradizionale politica di pareggio di bilancio sono notevoli, ma alcuni recenti commenti da parte di economisti ed esponenti politici, insieme all’introduzione di un pacchetto di finanziamenti “green” da 50 miliardi circa, sembrano aprire qualche spiraglio. In generale, l’appello della BCE ad azioni monetarie e fiscali coordinate, l’orientamento della nuova Commissione Europea, e la spinta ad agire per contrastare i cambiamenti climatici potrebbero aumentare i margini di manovra fiscale per tutti i Paesi dell’area euro.


GUARDANDO AVANTI...

Nelle prossime settimane, oltre all’andamento dei negoziati tra USA e Cina, sarà importante monitorare i nuovi dati macroeconomici - come produzione industriale, vendite al dettaglio, inflazione - per determinare se sia confermato un trend di deterioramento congiunturale, con eventuale estensione della debolezza dal manifatturiero agli altri comparti, o se possano emergere, invece, segnali di stabilizzazione. Ciò inciderà anche sulle prossime decisioni delle Banche Centrali, in particolare quelle della Federal Reserve alla prossima riunione del 30 ottobre (la BCE, invece, dovrebbe aver esaurito le proprie manovre da qui a fine anno). Molto interessanti, inoltre, saranno i dati microeconomici forniti dalle trimestrali societarie che inizieranno ad essere pubblicati intorno alla metà del mese. Anche se le valutazioni degli indici azionari non sono elevatissime, i rialzi di quest’anno sono, infatti, da attribuirsi solo in minima parte alla crescita degli utili. Le attese, da questo punto di vista, sono piuttosto modeste, ma sarebbe importante osservare dei segnali di tenuta per tranquillizzare gli investitori sullo stato dei fondamentali economici societari.

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