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Analisi mercati - 6 settembre 2019

IN ESTREMA SINTESI...

Dopo un agosto piuttosto volatile, settembre si è aperto con l’entrata in vigore di nuovi dazi sulle importazioni statunitensi dalla Cina e con un contesto di mercato a dir poco inedito: tassi d’interesse sui minimi storici e mercati azionari non troppo lontani dai massimi.

Sono molte le domande che gli investitori si pongono nel rivalutare il posizionamento dei portafogli dopo la pausa estiva: il quadro geopolitico continuerà ad essere fonte di instabilità o sarà raggiunto un compromesso nella guerra dei dazi? Che cosa faranno le Banche Centrali? I tassi d’interesse possono spingersi in territorio ancor più negativo e, se sì, con quali ripercussioni? Il ruolo della politica monetaria va in qualche modo ripensato? E, in tutto ciò, i mercati azionari hanno ancora margine di apprezzamento?

Per quanto tante di queste domande non potranno che trovare una risposta con il passare del tempo, a ben guardare il quadro non è forse poi così ineluttabilmente negativo come potrebbe sembrare a prima vista.


GLI ULTIMI SVILUPPI 

I tweet di Trump del 1° agosto hanno dato avvio ad una nuova fase di escalation nella guerra commerciale USA-Cina, che ha inciso fortemente sull’andamento dei mercati nel corso del mese.

• Ad una prima ipotesi di introdurre dazi aggiuntivi del 10% su circa 300 miliardi di USD di importazioni (la quota finora esclusa) in due tranche, la prima il 1° settembre e la seconda il 15 dicembre, il 23 agosto è seguita la decisione da parte di Trump di alzare l’aliquota al 15%, in risposta all’annuncio ufficiale di misure ritorsive da parte della Cina. 

• Ad oggi, di conseguenza, il primo round di tali nuove tariffe è già diventato effettivo ed entro fine anno l’aliquota media dei dazi sugli scambi bilaterali tra USA e Cina sarà essenzialmente la stessa per i due Paesi e pari a circa il 24% (prima dell’inizio dello scontro commerciale, i dazi medi applicati dagli USA sui beni cinesi importati erano del 3% circa e dell’8% circa quelli applicati dalla Cina sui beni USA). 

• Al momento non vi sono indicazioni precise sui prossimi passi, se non l’intenzione, confermata dai due fronti, di rincontrarsi nelle prossime settimane, e un accordo sembra quanto mai lontano.

Questi sviluppi accrescono sicuramente i timori per l’economia mondiale:

• Il settore manifatturiero continua ad evidenziare debolezza. Ciò hanno confermato anche ad agosto gli indici PMI per l’Eurozona (Germania in particolare), la Cina, il Giappone e diversi altri Paesi, ma la novità è stata la discesa in territorio di contrazione (sotto 50), per la prima volta dal 2016, dell’indice Manifatturiero USA.

• La Germania è a rischio di recessione, nel caso in cui il terzo trimestre facesse eco al secondo, registrando un secondo dato consecutivo di crescita negativa, come la stessa Bundesbank ha paventato.

• Diversi analisti hanno rivisto al ribasso le stime per la crescita cinese, al di sotto del 6% (obiettivo del Governo).

L’incertezza sulle prospettive economiche, la carenza di segnali inflazionistici e le elevate attese di manovre monetarie espansive da parte delle Banche Centrali hanno spinto ancora più in basso i rendimenti obbligazionari globali, scesi per buona parte in territorio negativo, soprattutto per quanto concerne titoli governativi e societari investment grade.

Il dollaro si è apprezzato ulteriormente, in conseguenza delle tensioni internazionali, della maggior debolezza dei dati economici degli altri Paesi e probabilmente anche perché i rendimenti USA, nonostante il crollo recente, rimangono comunque più appetibili rispetto a pressoché tutte le altre alternative d’investimento a basso rischio.



CONTESTO ATTUALE E PROSPETTIVE

Innanzitutto, al netto degli effetti che la guerra commerciale sta ormai notoriamente esercitando sull’economia e sul commercio globali, non vi sono ancora segnali evidenti di forte rallentamento: 

• Negli USA il settore manifatturiero rappresenta, infatti, l’11% circa del PIL e una sua frenata ha dunque un peso relativo per l’economia; per ora, d’altra parte, i consumi continuano a crescere a ritmi sostenuti, evidentemente favoriti dal buon andamento dell’occupazione. 

• L’inversione della curva governativa americana, tanto citata per via del suo presunto potere predittivo per quanto concerne l’avvento di una recessione, potrebbe dare questa volta un segnale distorto: esiste infatti una inconsueta pressione al ribasso sui rendimenti governativi americani, esercitata dalla massiccia discesa dei rendimenti globali; inoltre tutta la curva si è spostata verso il basso, non solo la parte lunga, con rendimenti reali negativi che difficilmente costituiscono un problema per il rifinanziamento delle imprese. 

• La Cina negli ultimi anni è diventata sempre meno dipendente dalle esportazioni; in più le autorità governative hanno la possibilità di intervenire ulteriormente a sostegno dell’economia;

Inoltre, il peggioramento del quadro macro incrementa le probabilità di politiche espansive: il supporto monetario è ormai praticamente assicurato, dal momento che sia la Fed, sia la BCE hanno lasciato intendere la disponibilità ad intervenire ulteriormente nei prossimi mesi. 

• La settimana prossima si terrà il meeting della BCE, che rivelerà le decisioni in merito a tassi d’interesse ed eventuale riapertura del QE: se un taglio sui primi (probabilmente di 10bps), oltre ad essere pienamente scontato dai mercati, appare piuttosto condiviso dai membri del Board, maggiore dibattito sembra esserci sulla seconda, in base alle ultime dichiarazioni rilasciate da alcuni banchieri centrali.  

• La Fed, dopo la prima mossa di luglio, procederà molto probabilmente a abbassare ulteriormente i tassi di riferimento: ciò è quanto si attendono i mercati, che anticipano anzi almeno altri due tagli entro fine anno, e sembra difficile a questo punto un passo indietro da parte della Banca Centrale. 

• Chiaramente, le Banche Centrali si trovano di fronte a scelte non facili, sia perché un livello così basso di tassi d’interesse costringe a valutare attentamente l’efficacia attuale e prospettica delle politiche monetarie, sia perché in alcuni casi l’indipendenza stessa degli Istituti Centrali appare in discussione (come nel caso della Fed e delle esplicite pressioni da parte di Trump). 

Questa situazione ha peraltro il pregio di riaccendere il dibattito sull’importanza degli interventi fiscali a supporto e a fianco di quelli monetari, cosa che sta diventando sempre più sentita anche nell’Eurozona.  

• La stessa Lagarde, che da novembre assumerà la guida della BCE, ha recentemente dichiarato come sia necessaria una politica monetaria accomodante ancora per lungo tempo, ma ha anche incoraggiato i Paesi con maggiori spazi di bilancio ad utilizzare la leva fiscale. Il riferimento principale è naturalmente la Germania, dove, in effetti, sembra che si stia iniziando a considerare più seriamente la possibilità di intervenire in tal senso (il ministro delle finanze Scholz ha accennato alla possibilità di un piano da 50 miliardi di euro).

• Da questo punto di vista, anche l’Italia, a seguito dei recenti sviluppi politici, potrebbe vedere aumentata la tolleranza da parte dell’Unione Europea sui vincoli di bilancio; a ciò si aggiunga il possibile risparmio fiscale dovuto al recente calo dei rendimenti governativi se si mantenessero stabilmente sugli attuali livelli (il costo medio del debito è oggi intorno a 2.7%)

Infine, alcune delle incognite che gravano sulle prospettive dell’economia e dei mercati non sono necessariamente fisse e immutabili: è bene ricordare come lo stesso Trump non abbia interesse a favorire un evidente rallentamento economico a ridosso delle elezioni del 2020 e questo potrebbe incentivare il raggiungimento di un accordo commerciale con la Cina.


CONCLUSIONI

In sintesi, nonostante le incognite siano numerose, lo scenario attuale potrebbe lasciare spazio ad opportunità d’investimento interessanti, potenzialmente maggiori per i mercati azionari: su questi ultimi il sentiment e il posizionamento degli investitori sono rimasti molto cauti, nonostante le performance positive da inizio anno, e le valutazioni non sono poi eccessive, soprattutto a confronto con i rendimenti offerti dai bond; questi ultimi sono stati favoriti da forti flussi e da una massiccia ondata di discesa dei rendimenti. Per quanto non vi siano motivi di pensare ad una forte inversione di tendenza da qui in avanti, anche un ulteriore consistente proseguimento del trend ribassista appare poco sostenibile.

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