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Analisi mercati - 6 novembre 2019

IN ESTREMA SINTESI...

Nell’ultimo periodo, le classi di attivo rischiose sono state favorite dalla riduzione percepita dei rischi geopolitici e dalla conferma di un orientamento monetario espansivo da parte delle principali Banche Centrali, in un contesto macroeconomico ancora debole, ma con timidi segnali di stabilizzazione, e di dati microeconomici modesti, ma mediamente al di sopra delle attese degli analisti. L’incremento della propensione al rischio ha portato ad un rally ulteriore dei mercati azionari (Wall Street ha segnato nuovi massimi storici e l’indice europeo ha recuperato i livelli del 2015) e ad una leggera risalita dei rendimenti governativi, da livelli molto compressi; contestualmente, le materie prime più legate al ciclo (energia e metalli industriali) si sono apprezzate, mentre il dollaro si è parzialmente indebolito, favorendo i mercati emergenti.


L’ALLENTAMENTO DELLE TENSIONI GEOPOLITICHE È VISTO FAVOREVOLMENTE DAI MERCATI

Stati Uniti e Cina hanno dichiarato di essere prossime al raggiungimento della cosiddetta “Fase 1” di un accordo commerciale. Il cambio di rotta è stato probabilmente favorito dalle crescenti evidenze di rallentamento economico in entrambi i Paesi e dal peggioramento della posizione politica interna di Trump, che costituisce un maggior incentivo a reclamare almeno una vittoria significativa in vista delle elezioni del 2020. L’innalzamento dei dazi, dal 25% al 30% su 250 miliardi di dollari di importazioni cinesi, inizialmente previsto per il 15 ottobre, è stato così cancellato, in cambio di maggiori acquisti di prodotti agricoli americani e di un impegno (al momento piuttosto vago) da parte cinese a limitare la manipolazione valutaria e a favorire la protezione della proprietà intellettuale e l’ulteriore apertura del settore finanziario. Dopo la cancellazione del meeting APEC in Cile, a causa delle sommosse popolari, il mini-accordo dovrebbe essere siglato negli USA, ma i contenuti e i tempi rimangono per ora incerti; inoltre, dovesse anche effettivamente formalizzarsi, si tratterebbe di una soluzione soltanto parziale, che potrebbe non rimuovere (almeno per ora) i dazi già in vigore e sarebbe lontana dal risolvere completamente il complesso attrito tra le due superpotenze. Tuttavia, questa svolta sembra escludere, se non altro, un peggioramento dei rapporti e rappresenta, anzi, un miglioramento al margine, soprattutto se verrà cancellata anche la tranche di dazi prevista per dicembre.

Anche sul fronte Brexit gli sviluppi recenti sono stati favorevoli, con un nuovo rinvio della scadenza per l’uscita dall’UE dal 31 ottobre al 31 gennaio (salva la possibilità di uscire anche anticipatamente) e l’indizione di elezioni anticipate il 12 dicembre. L’impatto della Brexit ha chiaramente natura più circoscritta, a livello regionale, rispetto alla guerra dei dazi, ma l’esclusione di un’uscita senza accordo ha comunque rimosso un’altra fonte di incertezza dallo scenario, almeno nel breve.


CONFERMATO IL SUPPORTO MONETARIO

Nel frattempo, le Banche Centrali hanno confermato un approccio accomodante. Durante l’ultima conferenza stampa da Presidente della BCE, Draghi ha riaffermato che i tassi d’interesse rimarranno bassi a lungo, riconoscendo però, al contempo, che la loro efficacia nello stimolare l’economia è probabilmente più bassa che in passato, motivo per cui sarebbe importante che la politica monetaria fosse affiancata sempre di più da azioni fiscali adeguatamente dimensionate e coordinate tra i Paesi dell’Eurozona. Questa visione appare ampiamente condivisa da Christine Lagarde, che ha appena assunto la guida dell’Istituto e ha dichiarato che senza l’introduzione di tassi negativi la crescita nell’area euro sarebbe stata inferiore e la disoccupazione più elevata. Inoltre, ha ribadito che i Paesi con maggiore spazio fiscale “non hanno adottato gli sforzi necessari” in termini di investimenti per correggere gli attuali squilibri economici.

Il 30 ottobre la Federal Reserve, come ampiamente atteso, ha tagliato di un ulteriore quarto di punto i tassi d’interesse di riferimento, portandoli nell’intervallo di 1,50-1,75%. Da qui in avanti, Powell ha lasciato intendere una pausa, dichiarando che l’attuale orientamento monetario dovrebbe rimanere appropriato fino a quando lo scenario economico continuerà ad evolvere in linea con le attese del FOMC. L’aggiustamento di metà ciclo, com’era stato definito dallo stesso Powell, dovrebbe quindi considerarsi concluso, per il momento, ma allo stesso tempo sono da escludersi mosse restrittive, a meno che le attese di inflazione non inizino a salire consistentemente. Considerando anche che la Fed ha ripreso ad acquistare titoli sul mercato (nonostante non si tratti di un vero QE, ma solo di una mossa atta a mantenere un livello “organico” di liquidità nel sistema), l’attuale approccio monetario può considerarsi decisamente accomodante.


IL QUADRO MACROECONOMICO RIMANE FRAGILE MA DÀ SEGNALI DI STABILIZZAZIONE

Nel consueto aggiornamento trimestrale di ottobre, il Fondo Monetario Intern azionale ha rivisto ancora una volta al ribasso (dal 3.2% al 3% nel 2019) le stime sulla crescita globale, parlando di un “rallentamento sincronizzato” derivante dall’aumento del protezionismo commerciale e dell’incertezza geopolitica, che hanno portato ad un calo degli investimenti, della produzione industriale e degli scambi internazionali. I settori dei servizi, i livelli occupazionali e i consumi privati sono rimasti, invece, relativamente saldi, ma di recente hanno iniziato a loro volta ad evidenziare segnali di indebolimento.

Nel 2020 la crescita è attesa in contenuto aumento, al 3.4%, soprattutto grazie alla ripresa in alcuni Paesi Emergenti, ma lo scenario è giudicato complessivamente piuttosto precario. I dati pubblicati nelle scorse settimane sono, in effetti, coerenti con la lettura di un quadro macroeconomico ancora debole, specie nel settore industriale, ma non hanno segnalato un ulteriore peggioramento evidente: i PMI dell’area euro e l’ISM statunitense si sono, invece, stabilizzati nel mese di ottobre, seppur su livelli molto bassi, e i dati preliminari sul PIL del terzo trimestre sono risultati superiori alle attese sia in Eurozona (+0.2% contro +0.1% atteso) che negli Stati Uniti (+1,9% annualizzato, contro +1,6% atteso) e sostanzialmente in linea con il trimestre precedente. Nel caso degli USA spicca ancora una volta la forza dei consumi domestici, che ha controbilanciato un rallentamento degli investimenti, e la resilienza del mercato del lavoro, confermata anche ad ottobre dal rapporto sull’occupazione.


LE TRIMESTRALI SOCIETARIE SORPRENDONO AL RIALZO

I segnali riveniente dai dati microeconomici sono essenzialmente in linea con il quadro macro: la stagione delle trimestrali è ormai giunta a buon punto negli Stati Uniti, dove circa tre quarti delle società dell’S&P 500 ha già pubblicato i risultati del terzo trimestre e, di queste, quasi l’80% ha riportato utili superiori alle attese degli analisti. Il giudizio complessivo non è dunque negativo, anche se le aspettative erano già state precedentemente riviste al ribasso e gli utili si stanno mediamente attestando in calo sull’anno di circa il 2%; più penalizzate sono state, anche in questo trimestre, le aziende con maggior esposizione internazionale, ad ulteriore conferma del freno che la guerra commerciale sta esercitando sull’attività economica globale.


CONCLUSIONI

In sintesi, uno scenario ancora relativamente fragile e dipendente dagli sviluppi geopolitici, ma complessivamente resiliente e supportato da politiche monetarie accomodanti: in base alle stime del FMI, gli interventi posti in essere quest’anno dalle Banche Centrali controbilanciano in buona parte l’impatto negativo della guerra commerciale sul PIL globale (stimato intorno allo 0.8% cumulato nel 2020). La conferma di un accordo preliminare tra USA e Cina e, in generale, di un allentamento delle tensioni geopolitiche sarebbe, conseguentemente, molto importante ai fini di una stabilizzazione e, successivamente, di una ripresa dell’economia globale. Se i dati economici inizieranno gradualmente a segnalare un’evoluzione di questo tipo, ciò potrebbe continuare a supportare mercati azionari, che, pur essendo già saliti tanto nel corso di quest’anno, presentano ancora un grado di appetibilità notevolmente superiore a quello dei mercati obbligazionari.




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